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26 | g. deledda |
Accostò il lume, un’antica altissima lucerna di rame, con tre teste di chimera, dalle cui bocche spalancate usciva la fiammella che pareva una lingua di fuoco; s’accomodò sulla sedia e allungando destramente il collo cercò di veder le carte di Maria. Ma ella le strinse al seno e rise.
— Sai cosa ho sognato, Maria, stanotte? Ah, non puoi saperlo mai e poi mai....
— Che cosa? — chiese, ella, senza troppa curiosità.
— Indovinalo, grillo, cioè cicala, perchè tu sei una cicala, quando non sei una puledra.
— E tu un asinello. Lascia lì quelle carte, son mie!
— Oh, mi sembravan mie. Ho sognato ah, se tu sapessi che stranezza!
— Filippina, — diceva Nino coi gomiti sulle ginocchia e il volto sentimentalmente fra le mani, — stanotte sei pallida come un biancospino. Cos’hai, a che pensi?
— Fammi il piacere, chiamami Filippa, — rispos’ella duramente. E rivolta a Diego gridò:
— Cosa dunque hai sognato, sornione?
— Fa il fatto tuo, — egli rimbeccò: e ab-