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nel regno della pietra 245


timana all’ovile, recando viveri e vino e vesti da cambio.

Spesso ella s’indugiava e passava anche la notte lassù: andava e veniva sempre sola, conosceva a menadito la montagna. Non era più tanto giovine, era grassa, bruna, con begli occhi neri scintillanti; aveva grandi piedi, mani ferree, e quindi non temeva nessuno, non si spaventava di nulla, di alcun pericolo naturale. Però aveva paura dei morti.

Una volta ch’era sola nella capanna, udì un rumore strano, continuo, che pareva venir di su, di giù, da lontano, come d’un acciarino battuto sulla pietra.

Un tagliapietre a quell’altezza? Ohibò, neanche da pensarci. Non se n’era veduto mai. Forse era qualche spirito infelice che batteva le ali di metallo sulle roccie, come mosca prigioniera.

Sidra1 uscì fuori. Era sul finir dell’inverno, un pomeriggio tiepido e soleggiato. Intorno all’ovile era un grato tepore, un presentimento di primavera; le roccie erano calde, l’erba

  1. Isidora.