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216 g. deledda


— Prova a chiederne il permesso a mio padre.

Elia provò, ma zio Felix non permise; e Antine rimase solo nella tanca, nell’immensa solitudine del suo cuore conturbato.

L’aria andava rinfrescandosi. Una notte piovette, e il fiume ingrossò, torbido, livido. Ma al ritorno del sole una indicibile dolcezza si stese per la tanca. Il cielo apparve alto, d’un tenero azzurro di perla: il fiume prese una trasparenza glauca di velo, di cristallo; e nell’aria spirò un soffio ineffabile, di lontane fragranze, di lontane cose, predicente le dolcezze autunnali. L’oleandro aveva sbattuto tutti i suoi petali sulle acque chiare, e s’ergeva con le acute foglie lavate dalla pioggia, scintillanti al sole; ma il mentastro fioriva ancora, dando alla brezza un irritante sapore di menta. Le vacche e le cavalle, gravi e lente, passavano lungo le rive, volgendo gli occhi al di là del fiume, alle vaporose lontananze. Durante questi giorni e nelle notti del magico plenilunio di ottobre, Antine si sentì più che mai immerso in un mare di tristezza. Si diede a studiare, cercando la solitudine, nascondendosi nei bo-