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di corsa, con la valigia sul capo, spaventando le vacche che muggirono.

Zio Felix non si stancò di guardare il suo primogenito per tutto il tempo che impiegarono ad attraversar la tanca. Il buon uomo parlava sorridendo, dando grave importanza alle sue più inutili parole: in fondo in fondo era un po’ intimidito dalla statura e dall’indifferente sguardo del seminarista. Giunsero all’ovile, in quell’ora deserto. L’alito fresco del fiume e la fragranza amarognola degli oleandri, circondavano le mandrie e le capanne, sperdendo i cattivi odori del bestiame. Zio Felix aveva preparato una piccola refezione di latticini e di dolci di miele; questi ultimi glieli avevano mandati dal paese per la festa dell’Assunzione.

Antine si tolse la sottana, la guardò attentamente se per caso avesse qualche macchia, poi la piegò con somma cura, deponendola sopra un tovagliuolo spiegato. Poi mangiò quasi con avidità, e bevette a lunghi sorsi dalla zucca incisa che suo padre gli porgeva. Il pasto e il vino lo misero di buon umore. Dopo tutto egli era un buon ragazzo, un po’