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152 | g. deledda |
Maria, che senza dubbio stava ad origliare, mise subito il suo brutto muso entro la porta. E Jusepa con arroganza:
— Porta un po’ di caffè. È fatto?
— Sissignora, — disse l’altra umilmente.
Zia Antonia trasalì, aprì la bocca. Trattavano Jusepa da signora? Ma dunque quella lì non era sua figlia; che cosa era dunque? Una vera donna Jusepa? La padrona della casa? La moglie di don Antine?
— Che il diavolo mi caschi sopra, ho il cervello alterato? — pensava la povera donna. Scostò un po’ la sua sedia; sotto la gonnella le sue mani si allentarono con dolcezza. E i suoi occhietti si fecero più fissi, e la bocca s’aprì ancor più; ma la lingua non c’era verso che volesse muoversi.
Fra il tic-tac degli argentei ferretti, Jusepa continuò a chiacchierare, prendendo coraggio dal contegno di sua madre. Ah, ella lo conosceva benissimo cos’era quell’incanto, quel barbaglio che veniva dalle colme e fulgide credenze, quel fascino che vinceva l’anima dei poveretti come un sonno fatale.
A momenti zia Antonia ricordava però e