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donna jusepa | 151 |
e senza accorgersene si trovò seduta davanti al gran tavolo di noce scolpito, sulla cui superficie lucidissima vedeva riflesso il suo naso. Anche donna Jusepa s’era rimessa a sedere, continuando a scalettare; e arrossiva vivamente nel vedersi osservata dagli occhietti di uccello di sua madre; ma in realtà quegli occhietti d’uccello, neri, ristretti, fissi, infossati, stupiti, vedevano solo gli anelli e gli orecchini a pietre turchine, che adornavano sua figlia.
— Giacchè tu non ti lasci vedere, sono venuta io.... — cominciò.
— Per l’amor di Dio, lasciatemi la testa, non ho un momento di tempo, — interruppe l’altra, parlando rapidamente, eppur con aria di stanchezza. — Faccio tutto io, lavoro come una bestia, non respiro, non riposo.... Mi sono messa questa blusa, della defunta padrona, nel cielo sia, perchè mi facevo le camicie una vergogna. Le ho tutte così, una vergogna, — e con le mani faceva atto di strappare, — tutte a brandelli.... Lavoro tutto io.... c’è tanto da fare.... le altre, che il diavolo le scanni, non fanno nulla. E per darne prova chiamò:
— Maria! Maria Ghespe!