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arruffati e con gli occhioni neri brillanti sembrava una piccola zingara, una creatura spiritata.

— Cosa diavolo stai facendo? — gridò Jusepa entrando precipitosamente. Cercò rialzarla, ma Lelledda le sfuggì di mano, si rigettò per terra, spezzò coi dentini il pezzetto di gesso che le lasciò le labbra bianche, e si rimise a urlare:

— Lel-led-da..., Ma-riaaa, Igna-zia, Giovannaaaa, capra, ca-priolooo.

— Vuoi finirla sì o no, brutta bestiola? — disse Jusepa digrignando i denti. — Che la volpe ti scanni, tuo padre è a letto perchè si sente male, e tu urli? Vuoi finirla?

— Mio padre è a letto, — disse allora Lelledda, — ma il tuo è nell’inferno e tuo fratello è in galera....

Benchè non avesse fratelli, dimenticando che Lelledda era una bimba che parlava secondo il suo esempio, Jusepa si strappò il fazzoletto di testa, e per rabbia emise due o tre gridi. Poi picchiò abbastanza bene la ragazzina. Furono urla e grida da non dirsi; accorsero le altre serve, e don Antine fece domandare cosa dia-