Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
136 | g. deledda |
dossava un corto cappotto nero, col cappuccio, che gli tirava la testa indietro, abbassato fin sugli occhi: e così sembrava più nero, più cupo e misero del solito.
Don Antine invece sembrava ed era un gentiluomo: rosso, con baffi biondi: ma ciò non impediva che anch’egli cominciasse a invecchiare. Negli angoli dei suoi occhi turchini vivissimi, penetrantissimi, sprofondavasi un ventaglietto di rughe; e neppure tutto il vino delle sue cantine, le granaglie e i formaggi delle sue dispense, le antiche tele delle sue arche, l’erba delle sue tancas sarebbero bastate a fargli rinascer sulla testa i capelli che mancavano.
— Sedete, — disse a Bakis, battendo una mano sulla spalliera d’una sedia. L’altro restò ritto, rigido, con la testa tirata indietro. La fiammella argentea della strana candela antica, di rame rossastro, s’allungava, sfumava in violetto, fumava: sul soffitto il cappuccio di Bakis pareva una montagna.
Don Antine guardava appunto lassù, per non degnarsi di guardar il povero uomo. Questo però s’impuntigliò a star zitto, finchè il signore parlò.