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Chianna, e le copriva la testina di baci, chiamandola la pulcina dalla cresta d’oro, oppure la sua santina d’argento. Infatti il visino della piccina rassomigliava a quello di certe madonnine pisane che s’incontrano in qualche vecchia chiesetta sarda.

Zia Jacobba invece era molto brutta, viepiù deformata dalla febbre che le gonfiava lo stomaco. Il suo corsetto di velluto nero, poi, sembrava coperto dal fango verdastro delle paludi; e le sue babbuccie di cuojo, non conservando più nè forma nè colore, dicevano lo strazio delle lunghe leghe percorse sulla polvere marmorea degli stradali, sotto il crudele cielo di acciajo azzurrognolo, luminosamente cinereo nelle ardenti lontananze.

Le vicine volevano bene a Chianna, ma parlavano male della madre, e dicevano strane cose sul suo conto. Il fatto era questo: zia Jacobba era linguacciuta e guardava tutti con gli occhi torvi. Ora, siccome l’amore si ottiene solo a forza d’amore, zia Jacobba non ne otteneva punto.

Per fortuna poteva campare sul suo; altrimenti nessuno le avrebbe dato un sorso d’ac-