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IV

è meritevole non solo dell’amore dei nostri primi anni fantasiosi, ma anche di quello di ora che nella maschera floscia del suo viso borghese e nei suoi occhi smorti dietro gli occhiali a stanghetta non vediamo più l’eroe, ma nella sua opera abbiamo imparato a conoscere tutta la sua umanità dolorosa.

L’anima di questo scrittore era una corda sensibilissima ad ogni vibrazione: tuttavia il tumulto l’allentava rendendola incapace di esprimere fortemente: egli rimaneva scosso da ogni impressione, da ogni contenuto artistico, senza però riuscire a dargli una forma con la potenza originaria.

L’artista deve creare lo spirito, la fiamma vivificatrice dell’opera, ma nello stesso tempo concepirne la forma che dia corpo alla sua realtà spirituale: senza questa concezione si rimane sempre nella torbida inquietudine dei decadenti. Pur essendo un nuovo, Pellico non ha saputo nè potuto esprimere potentemente tutto il suo pensiero. Basta osservare i personaggi delle sue tragedie e delle sue Cantiche dei quali egli cerca di sfuggire la grande unità sezionandoli, di modo che non si riesce ad avere in Eufemio di Messina, o un grande condottiero, o un amante, o un patriota: in esso vi è solo un dissidio borghese che non ottiene nessun rilievo. Che il poeta quei tre aspetti li abbia immaginati grandiosi ed eroici, nessuno