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II


Diciamo questo perchè non crediamo ch’egli potesse scrivere altro che Le mie prigioni o le Cantiche o la Francesca o l’Ester d’Engaddi: tanto il suo spirito, forse il più tipico del romanticismo, sembrava covare da lungo tempo quella forza intrinseca e dissimile da tutte le precedenti, per sbocciare proprio allora quando il nuovo movimento lo accarezzava e riscaldava, come il sole riscalda ed apre un fiore dopo l’alba rugiadosa.

Nelle lontane immagini della nostra prima giovinezza ricordiamo un uomo nobile e buono che ha per lungo tempo molto sofferto; egli è là, nei nostri primi anni, solo, in un’atmosfera confusa, ora melanconico, ora con lo sguardo luminoso di una fiamma interiore; abbiamo conosciuto il suo viso eroico sulle copertine dei libri popolari, dipinte con colori vivi ed ingenui, dove accanto a una grata di ferro e fra decorazioni di catene spiccava in caratteri rossi il titolo «Le mie prigioni» e da quel libro, sopratutto, abbiamo attinto le poetiche tristezze e i propositi romantici, e qualche cosa di più profondo ancora, la fede e la religione che si confacevano all’anima nostra fanciulla.

Se ora riprendiamo a leggerlo senza alcun pregiudizio, vi scopriremo i mirabili aspetti e lirici e filosofici e religiosi che una volta avevamo lasciato passare inosservati. A quindici anni abbiamo amato il martire patriotta e religioso, abbiamo sentito l’umanità delle sue calme parole, e incoscientemente