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avidamente attorno al tavolo nero, e Marianna Zanche e Maria Luisa Zoncheddu che misuravano una pezza di tela grigiastra, la prima reggendo con la punta della dita una canna segnata come un metro, l’altra svolgendo il tessuto. Una fanciulla pallida, sottile sottile, con un grande carico di capelli chiari, aiutava a svolgere la pezza e a ripiegarla dall’altra parte; ma i ragazzi la deridevano per la poca forza che dimostrava.

— Maria Battista, magrolina! Pesa più la tela che tutta te intera, cavalletta!

Andrea apparve sulla porta; tutti tacquero, la fanciulla trasalì, la madre lasciò cadere la canna. Solo la padrona, una donna alta e grassa, gli andò incontro tirandosi addietro la tela come una cometa.

— Vieni avanti, Andrea. Come stai? E tuo padre? E Vittoria? E zia Sirena? Quando riparti?

Egli fissava sua madre e non vedeva altro. Eccola lì; è pallida come morta: sa già perchè egli è venuto, bisogna affrettarsi, portarla via, interrogarla subito prima ch’ella prepari l’inganno. Ah, ella è abituata, a ingannare, a mentire: eccola lì, piccola e nera come un’ombra, come una tarantola; egli ha quasi paura di lei.

*

Ma come attirata dallo sguardo disperato di suo figlio, Marianna Zanche si avvicinava passo passo alla porta. Anche i ragazzi s’erano tutti