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— No, no. Voi! Voi! — ella supplicò afferrandogli le maniche. E anche la gobbina lo fissava coi suoi occhi strani, e pareva che con l’occhio nero implorasse e col verde sorridesse maligna.
— Ah, badate, donne! — egli cominciò, poi tacque respingendo Vittoria che gli stringeva i polsi con le sue mani calde.
Le parole del Profeta gli tornavano in mente: «di tre cose ha paura il mio cuore, ma la quarta fa impallidire il mio volto; la donna, dolore e affanno di cuore». Povero Andrea, poveri noi, due volte vittime, del serpente e della donna!
— Bene, ascoltami. Io devo tornare lassù. Tu mandami Andrea al più presto.
— Dio vi paghi — disse la gobbina, mentre Vittoria si cercava in tasca una moneta; egli però si allontanò rapido come fuggendo, sdegnoso dell’elemosina di lei, e ben presto fu lontano, piccolo come un uccello fra le roccie del sentiero.
— Come sono contenta, zia! — esclamò Vittoria, vinto il primo senso di umiliazione, prendendo la gobbina per il braccio e facendola correre con lei. — Mi pare di aver guadagnato dieci anni di vita. Tutto gli ho detto, e penserà lui a parlare con Andrea. Sono così contenta che appena arrivo mi metto a suonare.
— Egli intanto ha rifiutato la tua moneta! Ed hai inteso le sue parole? Donne, badate!
— Che importa?
— E adesso che dirà tua madre?