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nistra dal dorso lucido di bronzo regge le corde che legano i puledri al collo; la destra agita il nerbo nero e duro come una radice secca.

Appena vide Vittoria i suoi occhi neri brillarono di tenerezza, il sorriso gli scavò due fossette feminee agli angoli della bocca, e tutto il viso si fece dolce, infantile. La salutò due volte, piegandosi sul fianco e volgendosi prima di inoltrarsi nel sentiero verso lo stazzo, ma ella non rispose, seguendolo con gli occhi estatica finchè la polvere inargentata dal sole non si dileguò dietro di lui.

Ed ecco, egli è già lontano, alto sul gruppo dei puledri attraverso le cui zampe e le code agitate passano gli ultimi raggi del sole: le ombre descrivono un gioco fantastico sul verde delle macchie, e il frate ha un lieve capogiro. Ha capito il segreto di Vittoria e riprende a camminare come in sogno a fianco di lei con l’impressione che un turbine sia passato sopra di loro lasciandoli salvi ma sbalorditi.

Ella invece sospirò, sollevata da un peso.

— Sono contenta — mormorò a testa bassa, come parlando alla sacca a cui si aggrappava di nuovo. — Adesso sapete ogni cosa.

Ma egli non parlava più; giunti all’abbeveratoio si tirò in su la sacca sul braccio e si fermò guardando verso Monte Nieddu.

— Io qui vi lascio, donne mie.

— Para! — disse Vittoria con occhi supplichevoli.

— Non conosci proprio un’altra persona a cui rivolgerti?