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— Tua madre lo sa?

— Lo sa. Ma è una donna all’antica. Non vedeva di buon occhio neppure Andrea; tanto meno di questo è contenta...

— Perchè? non è bravo?

— Ah, per questo è bravo! — ella disse con voce soffocata. Ma il nome non potè pronunziarlo.

Intanto erano quasi arrivati allo stazzo Zoncheddu senza curarsi della gobbina che li seguiva a distanza, e senza porre mente a uno scalpitare di cavalli che, lontano e indistinto dapprima, diventava sempre più fragoroso e pareva un battere di mani gigantesche. Ma d’improvviso Vittoria impallidì come sentisse un rombo di uragano; e non si volse ma si ritirò sul margine della strada attirandovi il compagno.

Dapprima il frate vide una nuvola di polvere argentea ingombrare lo sfondo dello stradone, poi distinse quattro puledri bai dorati dal sole al tramonto. Tutti e quattro volgevano un poco la testa indietro sul collo fremente, quasi sdegnassero di guardare la strada che erano costretti a percorrere; uno nitriva, e sulla groppa palpitante, senza sella e senza freno stava il domatore, Mikali Zanche, alto ed agile, col largo petto sporgente e la vita lunga ben disegnata dal giubbone di velluto scuro.

Egli avanza, si distingue meglio: da una parte e dall’altra del suo viso quadrato di dominatore cadono come nastri i lunghi capelli neri; il mento e le labbra sporgenti, senza un pelo, esprimono una volontà selvaggia; la mano si-