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— Chi è? — domandò. — È più bravo di Andrea? Tu sei giovane, sei allegra, Vittoria, ma sei anche savia: pensa bene...

— Appunto! Ho pensato e ripensato. Andrea è buono, sì, è ricco, sì; ma non importa. Io non posso amarlo per questo solo. Eppoi... è inutile — proseguì, animandosi, col viso arso dalla passione, — l’amore non si comanda. Io voglio sposare l’uomo che amo. Che altro abbiamo nel mondo, se non l’amore? Eppoi il peccato viene appunto quando si finge, quando si guarda alla roba e alla vanità e non al proprio cuore. Io non so fingere; io, muoio se fingo! Bisogna dunque finire presto questa commedia.

Il frate ascoltava, sempre più pencolandosi dalla parte della sacca colma: il suo viso si faceva triste.

— Perchè lo hai accettato se non lo amavi?

— Mi sembrava di amarlo! Non m’ero innamorata mai di nessuno, sebbene tanti passassero per me davanti a casa mia. Ma mi vedevano ridere e avevano soggezione di me. Di Andrea solo non potevo ridere, gli volevo bene, sì, anche perchè sapevo che era infelice. Ma poi! Frate Zironi, sappiamo noi come avvengono le cose della vita? Ecco l’altro mi si mise attorno... o meglio, no, neppure questo... No, così; ci siamo incontrati, ed ecco un giorno ci accorgemmo d’essere legati assieme come prigionieri alla stessa catena. E nessuno più, e nulla più ci potrà dividere...

— E va bene! — disse il frate, battendosi il mento sul petto: poi sollevò il viso, guardò il cielo e sorrise.