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chevoli. Tremava di desiderio e l’ombra fiorita del susino che li copriva, e l’aria a cui il profumo della melissa dava un sapore di miele, lo stordivano sino a fargli dimenticare di nuovo il suo tormento; ma Vittoria, senza sfuggirlo, lo guardava dall’alto vigile e severa.
— Lasciami, Andrea; non è ora di fare così. Vedi Ignazia che ci spia? Dirà che noi ci divertiamo mentre tuo padre sta male.
— Io non mi diverto, Vittoria. Vedi come soffro?
— Lasciami allora, Andrea. Ecco mia zia che viene da noi.
La gobbina infatti attraversava l’orto, e disse loro che il frate voleva salutarli prima di partire.
— Ed è ora di avviarci anche noi, Vittoria.
Andrea non si oppose e tutti assieme tornarono nella camera del malato, ove il fraticello tentava di scherzare congedandosi turbato.
— Ho nella sacca tutti i vostri peccati, compare Bakis. Erano quelli che vi davano peso, che vi davano la febbre; ora state più bene di me che devo portarmeli addosso.
Bakis Zanche guardava Vittoria e non badava ad altro: le prese le mani, l’attirò a sè come desideroso d’essere baciato da lei. Ed ella chinò il viso fino a sentire il calore umido del collo di lui, ma non potè baciarlo. Non poteva, non poteva. Il terreno le scottava sotto i piedi; sentiva di nuovo l’inutilità dei suoi propositi, e nell’andarsene si volse più volte e si guardò attorno pallida e turbata come uno che