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fiamma nel mare; di contro i monti neri con le loro torri mozze, gli spalti, le muraglie diroccate apparivano ancora più fantastici in quel chiarore, forme di un mondo distrutto; e un senso di morte gravava su tutto il paesaggio: solo segno di vita, Vittoria che camminava agitata, ora curvandosi con disperazione sulla gobbina, ora sollevando il viso come per cercare la vastità del cielo.

— Zia, ho dato il fazzoletto a Mauru, perchè lo portasse a Mikali, per avvertirlo di non andare, stanotte: ma non mi fido. Mikali è pazzo come me e può venire qui, a cercarmi... Sono uscita per vedere... Voi non distinguete nulla? Quella forma nera, laggiù? Ah, se zia Sirena se ne accorge! Mi viene da ridere...

— Non ridere! Altro che ridere! — mormorò la gobbina, che si guardava attorno spaurita. — Ah, Vittoria! Vittoria!

— Ah, Vittoria! Vittoria! — ripetè la fanciulla a sè stessa. — Ah, no, non rido, zia, non rido...

Camminarono ancora, trepide, agitate quasi dallo stesso affanno. La gobbina seguiva Vittoria pronta a vigilarla e a sostenerla, ma sentiva di essere travolta e di non poter nulla contro il destino.

— No, no, zia, sono stanca! — disse Vittoria, sollevando il viso come per parlare alle stelle. — Perchè questo mistero? Io amo Mikali e voglio gridarlo a tutti. Male è fingere, è tradire, come faccio io adesso. Ma sono venuta qui apposta per finire l’inganno: volevo par-