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cheddu, mia zia, Andrea. C’era anche Mikali, il bastardo, ma pareva lui il padrone della compagnia. Portava alle corse due puledri domati da lui, perchè fa anche il domatore, per divertirsi, e vinse i premi. Andrea era allegro, in nostra compagnia, e rideva con noi come un fanciullo. E al ritorno ci pregò di passare nel suo stazzo, io e mia madre, e Bakis Zanche ci accolse con festa. Un servo aveva la fisarmonica ed io suonai, nel cortile. Andrea mi sedeva accanto, mentre zio Bakis scherzando ballava con zia Zizza, lui come un gigante, lei come una nana. I servi ridevano: ma Andrea mi guardava, pallido, con gli occhi pieni di lagrime. Mi misi a piangere anch’io, mentre pure suonavo, e le lagrime mi cadevano sui tasti. Così egli poi, mi disse che mi amava, ed io promisi di sposarlo. Zio Bakis venne a fare la sua domanda prima che Andrea partisse per il servizio militare. Adesso la gente mormora; dicono che io sposerò Andrea per la sua roba... Ma io voglio rendergli la sua parola, perchè non so fingere, perchè è vero che non lo amo... perchè se sono costretta a fingere mi sento soffocare come se un malfattore mi aggredisca mettendomi una maschera sul viso...
Il fraticello non pareva sorpreso: sollevò il viso, la guardò precederlo sempre rapida e lieve, guardò il cielo tutto d’oro sopra i monti violetti, riabbassò gli occhi chiudendoli come abbagliato dalla luce.
— Vittoria, figlia d’oro, — disse piano — sì, bisogna vivere senza maschera.