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kali; viviamo in santa pace, per il buon esempio della nostra creatura... Non stiamo più attaccati alle cose del mondo.

Egli ascoltava e andava calmandosi: ogni tanto alzava le spalle, e un’espressione d’ironia tosto seguìta da un’aria d’indifferenza gli distendeva i lineamenti del viso stravolto.

Toccò a Vittoria passarsi una mano sugli occhi: s’avvicinò e lo guardò bene, come si guarda un muro liscio insormontabile che si vuole oltrepassare. Non c’era via d’uscita. Ella capì che ogni parola oramai era inutile: che partisse o no, egli avrebbe continuato la stessa via. E un terrore ben diverso da quello provato poco prima le piegò le ginocchia; vide chiaro davanti a tutta la sua vita, e desiderò che Mikali partisse. Ma fu un attimo; le parve di rialzarsi dopo una breve caduta, di avere le forze raddoppiate, e afferrò le braccia dell’uomo, lo scosse tutto come per richiamarlo dal sonno in cui egli cadeva.

— Mikali! Che pensi?

— Non so... — egli rispose come assonnato. — Ho la mente confusa...

— Anch’io ero così, un’ora fa: mi pareva d’essere in mezzo alla nebbia. Ma qualcuno mi ha poi consigliato... Anche tu dà retta al mio consiglio; Mikali, dimmi che mi darai retta...

— Tu sei la padrona; io non sono niente qui, — egli disse infine, rianimandosi un poco; e mentre nei suoi occhi brillava l’antico orgoglio, il viso riprendeva l’antica bellezza. — Io sono stato scacciato di qui prima di nascere