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XI.
La prima volta che Vittoria uscì di casa, dopo il parto, fu per recarsi in chiesa col «bambino nuovo».
Il tempo favoriva la passeggiata; era un pomeriggio tiepido; dalle finestre aperte entrava l’odore della brughiera e in lontananza, tra il verde argenteo dei pascoli, le macchie scure della filirèa pareva galleggiassero nell’acqua.
Tuttavia Marianna Zanche aveva paura che il bambino e Vittoria prendessero freddo.
— È già tardi, — disse guardando l’ombra della casa, — e presto comincia l’umido; sbrìgati, palma; ecco qui il pannolino caldo.
Vittoria s’indugiava a far bello il bambino; gli tirò un po’ con un dito di sotto alla cuffia rossa frangiata un ciuffettino di capelli biancastri, gli legò sotto il mento grassoccio i nastri di seta; e come egli ruminava e faceva smorfie di disgusto, e spalancando ogni tanto gli occhi rotondi d’un verde dorato guardava attentamente il soffitto, ella lo baciò, e diede in gridi di ammirazione.
— Il gattino bianco, la mela d’oro! Apre gli occhi, lui, il bello grande, il dominio senza confini! Gesù, Gesù, come è bello!
Lo sollevò, se lo strinse al seno, fece una giravolta, accennò a lanciarlo lontano. Sembrava tornata fanciulla, quando sbatteva la gonna