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estranei, per badare alla mia serva? — gridò Mikali inviperito, ma subito provò una strana impressione; gli parve di essere lui l’estraneo, in quella casa che del resto non apparteneva a nessuno dei presenti; e si pentì d’aver detto «la mia» casa, «la mia» serva.
Gli parve che il servo sollevasse gli occhi dalla sua faccenda e lo guardasse con beffa; e la sua irrequietudine crebbe. Se la prese con l’uomo.
— Che fai là a ungere, stupido? Vattene fuori, vattene a ballare. E che, perchè una vecchia di cento anni muore dobbiamo farci frati?
— Ebbene, — disse l’altro bonariamente, — datemi prima da mangiare e poi vado al divertimento...
— Zia Sirena non muore: se fosse grave, Mikali non manderebbe certo i servi al ballo — osservò Marianna Zanche rivolgendosi a Vittoria come per scusare suo figlio.
— Se Dio vuole, e ci fosse qui il fuoco e noi tutte in mezzo, andrebbe lui al ballo — disse Vittoria, senza guardarlo.
Egli arrossì: s’accomodò la berretta, si guardò intorno come cercando con chi sfogare la sua collera; vide la gobbina che rientrava dopo essere stata dalla vecchia malata, e puntò il dito verso di lei, ridendo goffamente.
— La senti tua nipote che parla come te? Ti ha succhiato il veleno dalla gobba, oggi, ultimo giorno di carnevale...
— Io l’ho nella gobba e tu l’hai nella lingua, il veleno... — ella cominciò con gli occhi lucenti