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di zoppicamento, ma adesso col bel tempo passerà. Va con Dio; appena avrò finito da Battista andrò da Vittoria.
Ella riprese la corsa, ansando, come inseguita; sentiva i suoi palpiti, nel silenzio del crepuscolo, e aveva caldo come sotto il sole d’estate. Lo troverebbe? Dove? Da Ciara o da Ignazia? Era decisa a precipitarsi nelle case delle due miserabili donne come la fiamma di un fulmine, distruggendo ogni cosa. Avrebbe urlato, se trovava là dentro Mikali; avrebbe svergognato l’ostessa davanti a tutti i suoi avventori, avrebbe costretto quel burlone turpe di Pancraziu a frustare sua moglie.
Si fermò a riprendere fiato davanti al paesetto. Tutto intorno il cielo brillava come un cristallo dietro cui si spegnesse un incendio; la luna sorgeva fra due poggi neri, in uno spazio verde come un lago, e le casette sotto il campanile, laggiù in fondo alla strada, parevano sospese nel vuoto; e a lei sembrava di fare un brutto sogno; tutto il mondo era bello, ma un mostro, Mikali, vi gettava sopra la sua ombra. Quando fu nella piazzetta della bettola udì gli uomini là dentro giocare alla morra: in lontananza una fisarmonica riempiva la sera coi suoi gemiti disperati e l’urlo di una maschera ubbriaca accompagnava ad intervalli quel lamento che non cessava mai; ed ella ebbe l’impressione che laggiù, dietro il paesetto, qualcuno morisse.
La tristezza e la paura vinsero la sua rabbia; nella cornice della porta della bettola vedeva