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lei sola, in quell’esilio, viveva tra immagini di morte, abbandonata come una colpevole.
— Che c’è di nuovo? — domandò senza voltarsi. — Non venite a contarmi pettegolezzi, adesso!
— Pettegolezzi fossero, — disse la gobbina, abbandonandosi stanca e ansante sulla cassa accanto alla finestra, — ma se vuoi non ti dico nulla, no, tanto tu ami di essere cieca...
Tacque e Vittoria cominciò a tremare; avrebbe voluto non sentire nulla, mandare via l’uccello di malaugurio; ma come la gobba continuava a tacere ella proruppe con dolore:
— Parlate una buona volta! Sì, non m’importa più di nulla, ma parlate!
— Vittoria, senti: perchè non fai nulla per tenere tuo marito a casa? Pare che lo abbiano incantato, e tu non sei buona a sciogliere la malìa. Fagli dunque dire gli Evangeli e gli scongiuri, se non sei buona tu...
— Che ha fatto Mikali? Deve stare sempre fra la cenere del focolare come il gatto?
— Ah, così parli? Ebbene, senti, nipote mia, Mikali oggi è ubbriaco. Cosa nuova, dirai tu! Sì, egli si ubbriaca come un pezzente: perchè fa questo, Vittoria, dimmelo tu, nipote mia? Io non arrivo a capirlo.
E poichè ella, curva su sè stessa, aggomitolata, si batteva la fronte con le dita riunite, Vittoria andò a sedersele accanto e sorrise, tanto quel dispiacere le sembrava esagerato.
— Ma che cosa vi piglia, zia? Volete cambiare il mondo? Mikali è uomo come tutti gli altri.