Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 273 — |
dremo alla festa. Verrà anche Maria Battista Zoncheddu... e laggiù v’è il piccolo Andrea... Meno male, le chiavi le ho già consegnate. Mah!...
Delirava? Dicendo «mah!» corrugò anche lei le sopracciglia minacciose e Andriana pensò a Mikali e ad Ignazia soli laggiù nella sua casupola e rivide il viso di Vittoria coperto da una maschera d’ombra. E ricordò che il frate usava dire: «Dio paga ad usura».
Tornò in cucina e preparò un po’ d’acqua di tiglio per la vecchia, versandola in un boccale di creta, mentre dall’altro lato del focolare Marianna Zanche continuava ad occuparsi delle sue bucce d’arancio galleggianti come piccole barche d’oro sull’acqua di una concula verde. Il tramonto di marzo dorava col suo chiarore melanconico la cucina nerastra; e le due donne, che chiacchieravano sottovoce e si facevano di tanto in tanto il segno della croce, parevano intente a preparare essenze magiche: una per la morte, l’altra per la vita.
Vittoria intanto era andata dalla vecchia, che al vederla nascose il libro sotto il guanciale e le accennò di non avanzare.
— Lasciate che vi faccia un po’ di compagnia, zia Sirena.
— No, no, figliuolina mia; la compagnia ce l’hai. Una donna nel tuo stato non deve stare coi malati. E così pure ricòrdati di non dare in mano a tuo figlio un fiore prima che non abbia compiuto l’anno, perchè è malaugurio.
— Zia Sirena, ci baderete voi, al mio bam-
Deledda. Le colpe altrui. | 18 |