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stanzetta presa in affitto da zia Andriana, nella casa attigua alla bettola e alla stamberga dell’ex-fattore.
— E dov’è zia Sirena? E la padrona giovane? Sono andate in maschera? È carnevale.
— Non ci manca altro! Sirena è a letto con la febbre di raffreddore. A dire il vero l’ho costretta io, a coricarsi, perchè lei è come il pestello che non si stanca mai di pestare. E Vittoria è in camera sua.
— Quando nascerà dunque, questo valentuomo?
— A giorni, Dio volendo.
— E allora datemi da bere per augurare che sia un maschio. Poi vi racconterò tante cose. Il vostro vino è buono, zia Marià, buono, quasi come quello di Ciara la mia vicina bettoliera...
La donna non capì subito l’allusione maliziosa, tanto che domandò notizie del marito di Ciara.
— Quello sta bene in America; là, dicono, ci sono bei pascoli per i cervi.
— Mala lingua, va in ora buona, sei sempre tu!
— Perchè dovrei cambiare? Non cambia il mondo, non cambio io. Dunque, vi racconterò. Venendo qui sono entrato dai Zoncheddu. Battista muore. Vuole confessarsi col frate e hanno mandato a chiamarlo, su, nella sua tana fresca... Una volta ci sono stato anch’io.
Un’ombra sorse in mezzo a loro: e la donna impallidì, pensando che anche Battista moriva come il povero Andrea, d’amore e di dolore.