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Allora cominciò a odiare anche i suoi alberi come parenti e amici che lo tradissero. Propositi di vendetta gli avvelenarono l’anima come egli avvelenava l’acqua del fiumicello con la calce viva per stordire le trote. Dapprima pensò di uccidere il cane i cui urli lo accompagnavano fino al rio ed echeggiavano lungo la spiaggia come i boati di un mostro marino. Ma la cosa era difficile: ecco, curvo sull’acqua stagnante sul greto bianco, mentre le trote salgono su lente circondate dalla loro ombra guizzante, egli prepara il giunco per infilarle e pensa al modo di uccidere il cane. Avvelenarlo? Ma per avvelenarlo bisogna eludere l’attenzione del servo. All’inferno il cane e il servo! E l’immagine dell’inferno gli desta l’idea d’un incendio nel prediu; è facile incendiare il predio; ma il fuoco salta, va dove gli pare e piace, anche dove c’è gente che non ha fatto nulla di male al prossimo. Egli soffre per un atto di ingiustizia: come può essere ingiusto con gli altri?
Allora decise di tagliare gli alberi e affilò l’accetta con una selce.
Ed ecco una sera, tornando col cestino colmo di trote infilzate ancora vive nel giunco, fu sorpreso del silenzio che regnava nel predio. Il cane era morto? Sì, a volte l’effetto delle parole magiche è tale che fa morire le bestie: il Signore, quando vuole, può tutto. E cominciò a fare il giro intorno alla muriccia del podere, tastando le pietre, fermandosi ogni tanto ad ascoltare. Silenzio, silenzio. La luna d’ottobre chia-