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polcro. Tornò a sedersi in fondo al carro e non scherzò più.
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Così le sere passavano, cariche di stelle e di dolore umano.
Era agli ultimi di agosto e l’aria un poco umida odorava già di stoppie, le stelle filanti rigavano come lagrime il cielo: Battista a volte sollevava ancora gli occhi per guardare l’Orsa e indovinare l’ora e la stagione; e sentiva la voce di Mikali anche se egli taceva; era lì ai suoi piedi, Mikali, ed era tanto lontano; ed ella pensava a Vittoria che doveva aspettarlo, sola nella sua casa, ma nè l’uno nè l’altra le destavano più passione. Solo una tristezza infinita, come non l’aveva conosciuta neppure al tempo delle nozze di quei due, le dava un ardore al petto, una sete inestinguibile. E sentiva il cavo delle sue mani umido e le pareva fosse pieno d’acqua; ma non poteva, non poteva bere. Erano le sue lagrime e il suo sangue.
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La gobbina non tardò a sapere che Mikali passava le sere nello stazzo Zoncheddu, e andò a riferirlo a Vittoria: ma di chi poteva essere gelosa Vittoria? Non di Ignazia, fidanzata, e tanto meno di Battista che era come una foglia destinata a cadere in autunno. Eppure una pena sottile la pungeva, in quelle notti d’agosto piangenti di stelle: non poteva dormire, si