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e far trottare: era ricco, sì, ma di roba che chiunque poteva rinfacciargli come non sua: era sempre un rinnegato, uno senza padre, senza nome: e vedeva negli occhi di tutti uno sguardo d’invidia ma anche di derisione. Un sordo rancore contro sua madre cominciava a pungerlo.

Nei lunghi pomeriggi sedeva a gambe aperte nella cucina ove le donne lavoravano, e sputava e sbadigliava o trovava da ridire su tante piccole cose. Altre volte tornava tardi, la notte, dopo aver giocato e bevuto alla bettola del paese; altre volte si divertiva con le cornacchie come un bambino, punzecchiandole e ridendo; e dopo aver questionato con Vittoria, — poichè la madre non rispondeva mai alle sue provocazioni, — andava a sedersi in fondo all’orto e rimaneva ore e ore immobile, cupo, triste, finchè lei non si avvicinava a placarlo.

Un giorno, in luglio, ella gli disse che era gravida. Per un poco la notizia lo rallegrò; già gli sembrava che la gente cominciasse a ridersi di lui che non era buono neanche a fare un figlio: si raddrizzò sulla schiena, sporse il petto, gonfiò le belle guancie rase che ingrassavano di giorno in giorno.

— Un uomo come me non poteva farne a meno! Maschio, ah, Vittoria, se no mi arrabbio! Lo chiameremo Bakis.

Ella, dolce e pensierosa, col viso bruno un po’ invecchiato chino sul petto, contava sulle dita brune coperte di anelli: d’un tratto trasalì e, senza alzare il viso, sollevò gli occhi che

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