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minacciava di una lite o di incendiare il prediu.

Quando frate Zironi cercò nuovamente di interporsi, Mikali lo cacciò via con male parole.

— Che ne sapete voi d’affari? Voi avete le vostre terre nella bisaccia e il naso per aratro. Andate alla forca.

Era nervoso, Mikali, in quei mesi d’estate. L’eccesso di felicità gli causava una specie di pletora; mangiava bene e beveva meglio, aveva una moglie innamorata, vedeva sua madre, nel suo cantuccio, silenziosa e aggomitolata come un riccio ma anche rispettata da tutti e lasciata al suo posto come un oggetto prezioso per quanto inutile; tutte le cose andavano bene, insomma, ed egli, costretto ad una vita inattiva e beata, sentiva il sangue traboccargli dalle vene.

Lo stesso girovagare a cavallo di qua e di là per i possedimenti della moglie gli dava un’eccitazione nervosa; in certe mattine azzurre e calde della brughiera sentiva con impeto irrefrenabile la sua antica passione di domatore di puledri; ma doveva contentarsi di spronare a sangue il suo cavallo domato per farlo correre attraverso la tanca deserta: poi cadeva in lunghi sopori come un adolescente; si draiava all’ombra d’una muriccia o di una macchia e pensava con rancore al suo mancato viaggio, ai denari che avrebbe guadagnato laggiù, alla roba sua propria che avrebbe posseduto al ritorno. Così si stava bene, sì, ma come il cavallo favorito al quale si dà da mangiare e si tratta con cura, per poterlo all’occasione meglio spronare