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tava rosso sopra la vigna e fra gli alberi si vedeva ancora la linea del mare. Mikali scosse il susino e Vittoria raccolse nel grembiale i frutti dorati, mordendone qualcuno, porgendone qualche altro a lui; e nel fitto dei grandi alberi sembrava Eva nell’atto di tentare Adamo.
Poi risalirono ed ella riprese posto sulla muriccia, davanti al mare che adesso si confondeva col cielo in una nebbia colore di rosa. Si sentiva contenta; guardava le sue dita brune coperte di grossi anelli con ametiste e gemme contro il malocchio, e avrebbe voluto suonare la sua fisarmonica mentre Mikali accendeva il fuoco e arrostiva allo spiedo un agnello che avevano portato con loro. Cotto a perfezione l’agnello, anche lui sedette sulla muriccia e mangiarono, un po’ scherzando, un po’ litigando, avvolti dal velo d’oro del crepuscolo e della luce del fuoco; ed egli beveva dalla sua zucca incisa e diventava allegro; dopo tutto non aveva alcuna ragione per non esserlo.
— Va, mi sembra d’essere alla festa: solo che c’è poca gente! A che pensi, Vittoria? Sta allegra. Come chiameremo il nostro primo figlio?
— Mikà, — ella disse con voce vaga, senza rispondere alla domanda, — guarda laggiù nel mare; pare ci sia della cenere da cui spunta un fuoco rosso.
— È la luna, non vedi?
— Io qui davvero avrei paura a star sola. Non passa anima viva. E quella cosa nera che si muove laggiù, che è?