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— Lascia correre! A dar retta a mia madre nessuno al mondo dovrebbe divertirsi.
D’un tratto aggrottò le sopracciglia.
— Anche Battista Zoncheddu diceva che pregava notte e giorno, per far piacere a mia madre. E adesso a forza di digiunare mi han detto che sta diventando tisica. Quest’inverno si alzava prima dell’alba per andare a messa, e prendi freddo oggi, e prendi freddo domani, ha cominciato a tossire...
— Sì, l’ho veduta; sembra un’ombra, Mikà! L’ho veduta! E come mi ha guardato! Ma io non tossirò, Mikà, anima mia; tu sei mio!
Gli strinse la vita col braccio, come per affermare il suo possesso; ed egli, che aveva capito bene le allusioni di lei, un po’ lusingato nella sua vanità d’uomo, un po’ dolente per la malattia di Battista, le diede un lieve colpo sulla mano inanellata.
— Cosa dici, Vittoria! Storie antiche... Storie da ragazzi...
Ma Vittoria era gelosa e soffriva al solo ricordo del passato.
— Va là, eri una buona spiga, tu, con le donne! E brave loro che ti correvano appresso come ammaliate. Che avevi tu, dopo tutto? Eri un ragazzo; e non sei poi così bello da incantare!
— Ah, sì! E tu, allora?
— Ma io non ti sono venuta appresso, per l’anima mia! Eri tu che venivi. Negalo, se l’osi! Ma voi tutti, uomini, genia perfida, dite che siamo noi donne a cercarvi, e mentite sempre anche sapendo di mentire. Nega anche questo, se l’osi!