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brughiera, accompagnata dal soffio del vento. Su in alto il cielo era fitto di piccole nubi bianche e nere che correvano sullo sfondo turchino come onde agitate; e le roccie di Monte Nieddu ne trattenevano alcune di passaggio e se ne incappucciavano per mascherarsi anch’esse.
Dallo stazzo Zoncheddu uscirono le donne: Ignazia, che aveva voluto prendere servizio quella mattina stessa, scura in viso e con gli occhi pieni d’angoscia, Battista pallida di tristezza rassegnata: fischi, gridi, parole scherzose volarono allora come un getto di freccie, dallo stradone al campo; le Zoncheddu invitarono le maschere ad entrare, queste promisero di farlo al ritorno.
— Preparate i vassoi!
— Per ricevere quello che porterete!
— Anche per ciò!
— Se vi lasceranno entrare!
— Se non ci lasciano buttiamo le porte.
— Attenti a non disturbare gli sposi!
— Mikali vi spara!
— Oggi non ne ha la forza!
— Uh!... Anima mia!... Fulmine!...
Grida e suoni si confusero in lontananza, mentre Ignazia e Battista seguivano il gruppo delle maschere con occhi di invidia e di nostalgia, come l’esule segue il passaggio degli uccelli che migrano verso la patria perduta.
Le maschere si fermarono davanti allo stazzo Zanche, e sebbene il portone fosse aperto, e tutto nell’interno tacesse come nei giorni ordinari, non osarono entrare senza essere invitate;