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battendole una mano sulla spalla. — Adesso zia Sirena vi fa uno scherzo.
La vecchia infatti si frugava in tasca.
— Non è uno scherzo, Vittoria. Sei tu che scherzi sempre, ed hai ragione perchè sei contenta. Ecco, Marianna Zanche, prendi.
Le offriva le chiavi.
La donna sollevò dapprima i grandi occhi spaventati, e l’impressione che la vecchia serva le facesse davvero uno scherzo terribile, glieli riempì di cocenti lagrime d’umiliazione: zia Sirena però, con le chiavi in mano, le vecchie chiavi tanto usate che luccicavano al fuoco come fossero d’argento, guardava con rimprovero Vittoria, e poichè Marianna Zanche non accettava le chiavi le porse a lei.
Vittoria le prese e si accovacciò presso la donna.
— Zia Marianna! Prendete le chiavi! Eccole, ve le offro come un fiore. Prendetele! Siete voi la padrona. Non piangete, non piangete più.
E come la donna, con una mano sugli occhi, con l’altra la respingeva dolcemente, ella le mise la faccia sul grembo e pianse assieme con lei.
Poi si alzò e volle restituire le chiavi a zia Sirena. Respinta di nuovo, rimase un momento incerta guardando con una smorfia infantile le chiavi; infine se le mise in tasca gridando come una bimba:
— Meglio! Meglio!
Così rimasero a lei.