Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/240


— 232 —

che rendere più triste la donna che tornava; e più ella avanzava più i fantasmi la circondavano. Ecco la muriccia della vigna, ecco i pascoli con le mandrie e la capanna del pastore in fondo; la luna gettava su tutte le cose il suo velo azzurro, ma le ombre erano più grandi e misteriose in quel chiarore fantastico; ecco un cavallo nero immobile lassù, con la criniera irta scintillante di stelle; ecco un gigante seduto sopra una pietra, sull’orlo della strada; è lui? è la sua anima ancora in agguato al confine delle sue terre, pronta a gettarsi sulla colpevole che torna nonostante il suo divieto?

E nella distesa azzurrognola dei pascoli stanno immobili strane bestie nere, accovacciate su le loro stesse ombre, con velli irti, con lunghe code, con corna ramose di cervi... e Marianna Zanche guarda a destra, guarda a sinistra, ed ha paura che a un tratto il vento si sollevi e desti quel mondo misterioso, e tutti i fantasmi corrano contro di lei e la costringano a tornare indietro.

Un lume apparve in fondo alla linea bianca dello stradale e un cerchio di luce dorata si sparse come una grande aureola attorno a una figura viva e vera, più terribile, per la donna che tornava, di tutte le forme intravedute con la fantasia.

— Zia Sirena! Che dirà? Che dirà? — mormorò zia Marianna attaccandosi al braccio di Vittoria e cercando di nascondersi alle sue spalle. — Ella sa... che il morto non voleva ch’io tornassi... Che dirà?