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Egli rise goffamente, turbato.
— Va! non ti basta Pancraziu?
— Malanno lo colga! Io non lo voglio. Sei tu che voglio, Mikali, anima mia... Ti domando di sposarmi, forse? Ti domando l’elemosina come una povera affamata...
Egli si credeva un uomo di cuore, un gigante generoso; si volse e le grosse labbra rossastre della serva attirarono le sue come l’orlo d’un vaso colmo di vino.
*
In seguito Ignazia diventò più buona; più infelice, ma più buona; e quando, avvicinandosi il tempo delle nozze, le proposero di andare a servire nello stazzo Zoncheddu in cambio della madre di Mikali, accettò senz’altro. Andò dunque per il contratto, e non rispose alle mille domande curiose della nuova padrona, ma quando Battista, pallida e turbata, le fece vedere le camere dello stazzo e come per caso aprì una cassa e le disse sottovoce: — È il vestito che doveva mettere Mikali per partire... — entrambe, la giovane orfana e la serva, si chinarono sulla cassa come per guardare nella profondità del loro passato l’immagine di Mikali quale era appartenuto a loro, povero e lavoratore.
Mentre Ignazia se ne andava, Marianna Zanche giù nella corte smise un momento di arrotolare i panni che erano serviti ad avvolgere il pane in fermento e domandò se tutto era concluso.