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forza dell’odio; si buttò sul lettuccio mordendo il guanciale come avrebbe voluto mordere il cuore dell’infedele, e tutto il lettuccio tremava come preso dallo spasimo di lei.

Le sembrava di vederli, uniti, egli curvo, coi lunghi capelli che ricadevano sulle treccie di Vittoria, e il viso di lei proteso abbandonato sotto il viso di lui, uniti come la terra e il cielo in quella dolce notte d’autunno: e fremiti di maledizione la scuotevano tutta.

— Io li ucciderò... io farò una malìa che marcirà le loro bocche in modo che non possano mai più baciarsi...

L’indomani all’alba andò al torrente per lavare i panni. Col suo affanno che le pesava come il cestino sul capo, passò dove sperava di incontrare Mikali. Egli però non era più mattiniero, poteva fare il signore, adesso, e aveva rinunziato anche al suo mestiere di domatore: solo perchè non gli dicessero ch’era un fannullone, seminava frumento e fave senza preoccuparsi troppo del raccolto.

Il terreno che coltivava era lo stesso dove un giorno Vittoria l’aveva veduto domare come per gioco i puledri; e dalla riva del torrente anche Ignazia lo vide quella mattina avanzarsi fra i solchi neri dorati dal sole, alto sull’orizzonte, con una piccola bisaccia sulla spalla. Ogni tanto si fermava, con una mano apriva la bisaccia e con l’altra traeva il frumento e lo spandeva attorno come per gioco. Tutto era gioco, per lui. La semente gli volava attorno simile a un nugolo d’insetti argentei, si posava