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Arrivando allo stazzo videro Mikali seduto nel cortile, annojato, curvo su sè stesso, con le mani dondolanti in mezzo alle ginocchia aperte.

In cucina le serve scardassavano un mucchio di lana nera e c’era anche zia Pietrina vestita di gala.

— Oh, oh, — disse Mikali sollevando il viso verso il fattore, — così Dio mi assista, mi sembrava giusto di sentire i vostri passi.

Vittoria sollevò le foglie di vite dal cestino che il vecchio aveva deposto davanti a lei, trasse l’uva verde e pesante, ne mangiò alcuni acini, poi ne offerse a tutti, e tutti l’accettarono: solo Ignazia prese il suo grappolo senza sollevare gli occhi e lo ripose nel suo grembiale.

— Quando ero ragazza io, — disse zia Sirena, — si diceva che mangiando la prima uva se si formulava un desiderio questo si avverava.

— Erano i tempi di Mosè, quando gli uomini non avevano malizia.

— Malanno, quanto invece tu sei malizioso, Mikali! — gridò il fattore. — Ed io invece dico subito a voce alta il mio desiderio: che Vittoria Zara conservi sempre la sua buona coscienza.

— Perchè parlate così? — ella domandò asciugandosi la bocca col grembiule.

— Tu lo sai, Vittoria. Perchè vuoi cacciarmi via? Sai tu in che stato era il podere un anno fa, cinque, dieci anni fa? Così, così è adesso. È stato così sempre, dopo che Bakis Zanche mi ha lasciato solo a coltivarlo. Egli mi disse: fa