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Il frate appoggiò il gomito al letto, l’orecchio alla mano e cominciò a pronunciare le formule per la confessione: un moscone battè sui piccoli vetri polverosi e in lontananza vibrò un grido di cingallegra. Il mondo era lontano, lontano e bello sotto il cielo di primavera; e il vecchio proprietario, abbassate le palpebre violacee, ansava come un gigante vinto, rievocando il passato e umiliandosi solo davanti al fraticello che era l’intermediario fra lui e Dio.
— Ricordarmi i peccati principali, dite voi? E chi se li ricorda? Tutti, li ho commessi, grandi e piccoli; li sento qui, sulla testa, pesanti come pietre. Ma dell’esistenza di Dio non ho mai dubitato, che egli mi castighi se mentisco, che egli mi castighi nell’altra vita come mi ha castigato in questa...
Dopo che egli ebbe confessate tutte le mancanze contro i Comandamenti, il frate disse sottovoce:
— Adesso bisogna toccare un argomento per voi doloroso; ma è necessario. Voi avete un peccato grande... compare Bakis, voi sapete...
Bakis Zanche allora si scosse di nuovo, tutto, tentando di sollevarsi, e un’espressione di scherno feroce gli contrasse il viso.
— Ah, fraticello mio, di quello non mi pento! Se Dio vede ed è giusto non mi tirerà fuori questa storia, il giorno del Giudizio. Ebbene, malanno a tutti, lasciatemi parlare. Io avevo venticinque anni più della donna, è vero; ma non lo sapeva forse, quella pezzente? Del resto, ero forte, sembravo un gigante; qual era il ca-