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Durante quegli otto giorni le donne dello stazzo Zoncheddu e dello stazzo Zanche e di tutti gli stazzi attorno non fecero che parlare dell’avvenimento. Solo zia Pietrina taceva e non rispondeva neppure alle chiacchiere della gobbina che per la felicità sembrava ridiventata una ragazzetta.

Anche Vittoria non si sentiva contenta: cuciva, davanti alla finestruola sul cui sfondo si disegnavano le pesanti nuvolette d’agosto, e ogni tanto si volgeva sospettosa, sembrandole di vedere entrare zia Sirena con le chiavi in mano pronta a consegnargliele ed a partire dallo stazzo.

Un dopo pranzo, mentre in cucina le donne pulivano l'orzo per il pane, sentì un passo pesante nel corridoio; ma invece della vecchia vide affacciarsi all’uscio il servo Pancraziu.

— Che vuoi? — gli chiese alzandosi con la tela in mano, un po’ sorpresa per la libertà che egli si prendeva.

— Scusami, senti: vorrei dirti due parole, senza che le donne se ne accorgano. Lo permetti?

Ella non lo lasciò entrare nella sua camera; uscì e sedette sulla panca davanti alla nicchia di Sant’Isidoro, mentre egli in piedi sotto la luce del finestruolo che gli inargentava i capelli polverosi le diceva sottovoce, gravemente:

— Vittoria, ti prego di dirmi la verità, come io la dirò a te. È vero che sposi Mikali? Dirai: che importa al mio servo di ciò che faccio io?