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— Nell’orto? Cosa abbiamo? Ah, Marianna mia, quest’anno è un disastro: manca l’acqua e i bruchi rosicchiano ogni cosa...

E di Vittoria e di Mikali non si parlò più, fino all’ultimo momento, quando già si sentiva il canto del servetto che tornava dall’orto.

— Allora fra otto giorni, Pietrina mia! Ma interroga sopra tutto il tuo cuore — disse Marianna Zanche afferrando con le mani calde febbrili le mani della vedova. — Se tu non sarai contenta... ebbene... no, anch’io non sarò contenta...

Si fissarono, nella penombra, e Pietrina fu per prorompere e dire tutto il suo pensiero, tutti i suoi presentimenti e come vedeva di malocchio quel matrimonio; ma a che pro? Vittoria voleva Mikali ed era inutile sfogarsi, fosse pure con la sua antica compagna.

D’altronde il servetto era già davanti alla porta e con la sua canzonetta insolente diceva di aver capito lo scopo della visita di zia Marianna.

Cajuare ti cheres, conchi maccu,
Su narrer meu non ti diat pena;
Si nde bestis su pede in sa cadena
Asa a ischire ite b’at intr’e su saccu...
Cajuare ti cheres, conchi maccu.1

  1. Ammogliare ti vuoi, testa matta,
    Il mio dire non ti dia pena;
    Se metti il piede dentro la catena
    Verrai a sapere che c’è dentro nel sacco...
    Ammogliare ti vuoi, testa matta.
Deledda. Le colpe altrui. 14