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come me! Ma neanche il cane si abbandona; lo si uccide. E tu... invece, perdio, tu fai peggio che uccidermi, Vittoria Zara! Tu mi costringi a emigrare come un pezzente, ad andarmene lontano come un esiliato... tu mi costringi a essere un uomo meschino, un miserabile!... Ma ringrazia il cielo che sia ancor viva mia madre! Appunto per lei vado via, per non perdermi, per non darle quest’ultimo dolore... Tu dici che ho fatto morire mio fratello... ma adesso basta; mia madre non la voglio far morire, no... E lei me lo diceva, povera lei; me lo diceva, sì: «non andare da Vittoria, figlio mio, è come se vai incontro alla morte!» Eppure, Vittoria, ti voleva bene anche lei, e piangeva per noi, e ancora piange e ancora dovrà piangere...

Vittoria taceva; un tremito l’agitava tutta, e aveva l’impressione che Mikali parlasse finalmente da uomo che conosce la sventura, come a un tratto divenuto vecchio, e che anche lei fosse vecchia e pentita degli errori di gioventù.

— Io venivo lo stesso, da te, — continuò Mikali, nascondendosi il viso fra le mani - e mai fossi venuto! Perchè ci siamo conosciuti? Io sono stato allevato orfano e peggio che orfano, senza nome; ma mia madre mi ha insegnato ad essere onesto; le avessi dato ascolto in tutto! Ma venivo da te come gli ubbriaconi vanno alla bettola; non potevo stare, mi pareva di avere sete e fame e di essere scomunicato se non venivo da te. Perchè non mi hai mandato via allora... subito? Tu che adesso sei così saggia