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— Non è la prima, ma è certamente l’ultima, Mikali Zanche! Io però non ti ho chiamato, nè ho da dirti nulla.

Mikali la guardava dall’alto, pensando che solo nelle grandi occasioni si rivela l’uomo forte e prudente: sedette quindi accanto a lei, deciso a compatirne il furore e l’angoscia.

— Vittoria, ascoltami. Non occorre che tu ti agiti. Perchè? Desidero solo sapere una cosa: perchè ti sei offesa? Che hai contro di me? Che ti ho fatto?

— A me? Nulla.

— Lo vedi? Nulla. È questo che mi dava da pensare, in questi ultimi tempi. Nulla, dicevo a me stesso, non le ho fatto nulla! Che tu mi abbandonassi non m’importava; le donne siete tutte uguali. Ma mi domandavo: che cosa le ho fatto? E adesso tu stessa lo confermi: nulla. Ma un uomo come me...

— Io mi rido degli uomini come te! Tu credi di essere un uomo forte e saggio e sei più debole e sciocco di una donnicciuola. A me tu non hai fatto nulla, nè io ho fatto nulla a te; eppure, Mikali Zanche... tu ed io... non possiamo vivere in pace...

— Perchè?

— Il perchè tu lo sai.

Egli le buttò in grembo un filo d’erba.

— Perchè tu sei ricca ed io sono povero.

Vittoria spezzò il filo d’erba e cercò con gli occhi gli occhi di lui; e si guardarono come due che vogliono ferirsi a morte.

— Mikali! Hai perduto la ragione?