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va mai veduto nè il cielo, nè le stelle, nè il mare lontano brillare come le pozze d’acqua del torrente al confine della tanca del dottore. Macchie di oleandri ancora fioriti e striscie di fieno stellino segnavano il corso dell’acqua; ella andava, andava, e se avesse risalito il corso misterioso di un grande fiume ignoto, fra boschi vergini, non si sarebbe turbata più di così. D’un tratto le parve che un velo cadesse attorno a lei; un silenzio notturno la circondò e gli oleandri odoravano forte, come vasi di profumo improvvisamente sturati. Il sole era tramontato.

— Mi sono smarrita? — si domandò; ma un rumore secco di legno battuto sulla pietra risuonò là dietro una roccia che pareva una testa enorme coperta da una capigliatura di rovi; e una voce di ninfa cantò:

Una culumba in su nìu
Hana lattadu dormende...

— Zia, zia!

La gobbina lavava ancora, curva a scuotere un panno rosso entro l’acqua che ribolliva come sangue.

— Ho finito — disse torcendo il panno sulla pietra. — Egli non s’è visto ancora.

— Che m’importa, zia? Sono venuta per camminare, non per lui! Egli deve sposare quel viso di lievito di Battista Zoncheddu...

— Conti da focolare! — disse la gobbina alzandosi e scuotendosi le sottane bagna-

Deledda. Le colpe altrui. 13