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Vittoria sentì un tremito assalirla dai piedi alla nuca: afferrò lo stipite dell’uscio e strinse i denti, ma non si fermò che per un attimo.
— Addio, zio Nicola; e grazie. Speriamo vada bene.
— È sempre andata bene! — egli affermò gravemente.
Ella uscì e camminò agile ma non rapida fino allo svolto della vigna: lassù volse intorno gli occhi sospettosa; e d’improvviso una espressione dura le irrigidì il viso e i suoi occhi brillarono metallici.
— Non sono la padrona io? — disse a voce alta. E si mise a correre attraverso il sentiero dietro la vigna, su su, fino alla tanca del dottore, fino alla brughiera: le pareva che una mano la spingesse facendola correre dietro la sua ombra che le insegnava la strada.
Il sole cadeva alle sue spalle e sul cielo schiarito le nuvole si muovevano, tutte d’oro e di frantumi di perle come grandi gioielli schiacciati. Fra le stoppie rosee i cavalli pascolavano coi fianchi lucenti al tramonto, e da ponente arrivava un alito di frescura che animava tutto il paesaggio. Ella continuava a correre lungo il sentiero come inseguita; infatti si sentì fermare, tirare indietro, e ancora una volta si ricordò di Andrea. Si volse e vide la sua sottana impigliata in un rovo... Piano piano la districò e le parve che le more, tra il fogliame smaltato del rovo, avessero entro ogni granellino un occhio che si rideva di lei.
Tutto intorno scintillava: ma ella non ave-