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L’uomo, alto, vestito di pelle, si fermò in mezzo alla stanza: con le punte della lunga barba entro i pugni, stette a guardare gl’insetti che salivano incessantemente dai mucchi del grano, sbucavano da ogni chicco, s’attaccavano al muro gli uni sugli altri piccoli e giallognoli come la crusca; poi s’accostò per osservarli meglio, prese sul palmo della mano un poco di frumento e disse rigettandolo sul mucchio:

— Portami un pajolino di rame pieno d’acqua di fonte.

Vittoria portò un pajolino che pareva d’oro, ed egli, dopo aversi tolto la berretta e lasciato cadere gli scarponi pesanti come intagliati in due ceppi di quercia, immerse i piedi neri nell’acqua brillante e si fece il segno della croce; ma prima di cominciare lo scongiuro domandò se nello stazzo c’erano donne o bestie gravide.

— Allontanale, se ci sono, — disse gravemente, — perchè la forza delle mie «parole» potrebbe farle abortire.

Rassicurato da Vittoria, trasse il suo coltello a serramanico e ne fece scattare la lama; e tenendo la punta fra il pollice e l’indice della mano sinistra si fermò il pomo del manico sul petto, mentre continuava a farsi dei segni di croce con l’acqua del pajolino, volgendo il viso di Mosè alla finestruola, verso la luna nuova che cadeva sul cielo come un anello d’argento.

— Tu credi? — domandò a Vittoria. — Se non credi è meglio che ti allontani.

Ella credeva, ma non ciecamente; eppoi con quell’ansia in cuore non era degna di assistere