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— Hai più riveduto Mikali?

— Io no, para! So che gira intorno allo stazzo, e fa stravizi e pazzie (non lo incontreremo, spero, no, Dio mi salvi). Mi ha mandato un’ambasciata minacciosa anche, pel cugino Prededdu il bandito; ma io non ho paura di nessuno, io, solo del Signore.

— Del Signore e della mia coscienza — riprese dopo un momento di silenzio. — E lui, invece, Mikali... disgraziato... lui non pensa a questo. Lui non ha rimorsi: lui non pensa che l’altro è morto per colpa nostra: para, perchè gli uomini son così? Senza timor di Dio? Solo il timore di Dio può guarirci...

— Non è la prima volta che tu mi fai una predica! Bene, figlia d’oro: tu ragioni come un prete sul pulpito. Ma una cosa, dimmi, l’hai tu pensata? Che cioè la roba che hai tu dovrebbe essere di Marianna Zanche e di Mikali?

— Io non so di chi è, para! Io penso solo che Bakis Zanche è morto ignorando tutto. Questo è il mio tormento. Se egli avesse almeno saputo, mi avrebbe cacciata via ed io sarei adesso più contenta.

— Vittoria, — disse il frate, fermandosi. — Vittoria, tu dovresti mettere una pietra sul passato e sposare Mikali.

— Para!

Si volse a lui spaurita; ma il suo grido era simile a quello dell’allodola che sfugge atterrita e salva al colpo del cacciatore.

— Vittoria, ascoltami. Ho pensato a te, nella solitudine. Ho pensato: Vittoria Zara non può

Deledda. Le colpe altrui. 12