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duti per preparare ogni cosa per il loro arrivo nella nuova dimora. Ma il sabato verso un’ora Bakis Zanche ritirò a un tratto la sua mano e sbadigliò piano piano come un poco annoiato di tutto e di tutti. Ella si volse a guardarlo e diede un grido: egli aveva abbassato a metà le palpebre e sulla sua bocca rimaneva un’espressione di disgusto: ah, se n’era andato, lasciandola sola sull’orlo della via.
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Fino alla strada Mikali sentì l’urlo delle donne e i canti e le nenie funebri delle prefiche riunite nella cucina dello stazzo: non osò entrare e per scusarsi di fronte a sè stesso della sua debolezza corse via e andò ad avvertire la madre.
Vittoria e zia Sirena intanto lavavano e vestivano il cadavere, parlando fra loro a bassa voce come per non svegliarlo.
— Questa mano! — disse Vittoria, lavando dito per dito con uno straccio insaponato la mano ancora molle ma vuota del morto. — Quanto l’ho tenuta, in questi giorni! Mi parrà sempre di stringerla, povera mano.
Parlava calma, un poco stanca però e come assonnata.
— Ha finito di soffrire: così finiremo anche noi, vero, zia Sirena? L’importante è di seguire la via dritta davanti a noi, come egli l’ha seguìta, a costo di morirne. È vero, zia Sirena?
La vecchia piangeva silenziosa sconsolata,