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— disse. — Voi andrete subito dal notaio Porru e lo farete venire qui. Testimoni voi e Pancraziu. Andate. L’ora passa.

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Ripartito il frate, Vittoria rientrò e tornò ad appoggiarsi ai dappiedi del letto, istupidita, con la mente piena di pensieri confusi. Ma fra tanta caligine una cosa le appariva chiara come un raggio che la guidasse: non rivedere mai più Mikali.

Nel pomeriggio, arrivato il notaio, il malato la pregò di mettersi nel corridoio mentr’egli dettava il testamento, affinchè le altre donne non origliassero: l’uscio fu chiuso ed ella sedette sulla panca sotto la nicchia di Sant’Isidoro, senza porre mente a quello che avveniva nella camera di Bakis Zanche. Nulla più del mondo le importava; sedeva con la testa appoggiata alla parete, con attitudine stanca, come chi ha fatto un lungo cammino e pensava al modo di non rivedere mai più nella vita Mikali.

Il primo ad uscire dalla camera fu Pancraziu; le fece un cenno con la testa, ammiccando come per significarle che tutto era andato secondo i desiderii di lei, e passò oltre in punta di piedi; uscì poi il notaio, ed ella si mosse per accompagnarlo fino al cortile.

Il frate rimase col malato per prepararlo all’estrema unzione.