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— È il cavallo verde... È Lusbè il demonio, che corre dietro l’anima di Andrea — diceva Vittoria: ed egli l’afferrò per le braccia e la scosse per farla tacere.
In fondo però, anche nel sogno provava un altro sentimento; gli sembrava che facendo morire Andrea in così malo modo Dio castigasse Bakis Zanche dell’ingiustizia usata all’altro figlio, a lui Mikali, col ripudiarlo e farlo vivere come un bastardo.
Si svegliò e sussultò, sulla nuda terra. Si udiva davvero, nel silenzio profondo dell’alba, un trotto di cavalli; la luce inargentava le pietre e la luna pallida calava tra le macchie come una grande medaglia di madreperla.
La gente lassù si agitava; i due carabinieri che vegliavano la salma di Andrea si misero sull’attenti e una voce disse:
— È il Pretore.
Egli ebbe vergogna di avere avuto paura in sogno. Non cercò più di nascondersi, ma stette seduto su una pietra, curvo con le mani penzoloni fra le ginocchia aperte, sollevando di tanto in tanto gli occhi per guardare lassù. Ecco il Pretore e i suoi accoliti smontano e si accostano silenziosi al cadavere: uno dei carabinieri solleva il panno nero, l’altro si china e parla a bassa voce mentre il cancelliere si guarda attorno e scrive, scrive sopra una carta, appoggiato alla roccia. Il padre e gli altri uomini s’erano messi in fila silenziosi, e Pancraziu guardava il padrone come un cane fedele spiandogli sul viso i segni di dolore. Mikali balzò in